Marzo 1974: il giorno in cui un giovane dentista scoprì la sua vera vocazione
La Poliklinika Nr. 3 di Naujininkai puzzava di disinfettante economico e disperazione umana. Le pareti grigie sudavano umidità, le sedie cignolavano ad ogni movimento, e l’attrezzatura sembrava uscita da un museo della medicina. Era il primo giorno di Boris Kalakutai come dentista qualificato.
Petras, operaio della fabbrica di cemento, sedeva sulla poltrona con metà faccia deformata da un ascesso. Le sue mani callose stringevano i braccioli mentre guardava il giovane dottore con una fiducia che Boris sentiva di non meritare ancora. “Daktare,” disse in lituano, violando la regola non scritta di parlare solo russo negli edifici pubblici, “mi fido di lei.”
“Le mie mani tremavano mentre preparavo la siringa,” confessa Kalakutai. “L’anestetico era talmente diluito che sapevo che avrebbe fatto poco effetto. Il trapano a pedale cigolava come un animale morente. Ma negli occhi di Petras vidi qualcosa che andava oltre il dolore fisico: la speranza di essere trattato come un essere umano, non come un numero.”
L’estrazione fu difficile. La radice era profonda, l’infezione estesa, l’attrezzatura inadeguata. Ma mentre lavorava, qualcosa cambiò in Boris. Le mani smisero di tremare, la mente si focalizzò con una chiarezza cristallina. Era come se tutti gli anni di studio, tutte le notti passate sui libri di anatomia, convergessero in quel momento.
“Quando finii, Petras aveva le lacrime agli occhi,” ricorda. “Ma non erano di dolore. Mi strinse la mano con una forza che non dimenticherò mai e disse: ‘Ora posso tornare a sorridere.’ In quel momento compresi che in un sistema che ci voleva grigi e uniformi, ogni sorriso salvato era un piccolo atto di ribellione.”
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